GIANNI RIZZOTTI. LA VITA, LA FOTOGRAFIA

Gianni Rizzotti, friulano di nascita e milanese d’adozione, è un fotografo di moda, pubblicità e ritratti. Dopo il diploma alla Scuola di Fotografia di Milano, inizia la sua carriera come assistente di due maestri del click patinato quali Serge Libiszewski e Gian Paolo Barbieri.

Fin dall’inizio della sua carriera collabora con varie agenzie internazionali per importanti brand di moda come Versace, Ferrè, Naracamicie e per diversi editori tra cui Condé Nast, Hearst, Mondadori, RCS. Ha all’attivo la pubblicazione di cinque libri fotografici, tra questi “Beyond the Chef” edito da Skira in cui ritrae in maniera ironica e surreale, fuori dalle loro cucine, trentacinque cuochi internazionali stellati Michelin, gli vale il premio “Positive Photography Experience” al Positive Buisness Award. Dal 2017 è anche docente di fotografia al Corso Triennale in Fashion Design presso Raffles Milano Istituto di Moda e Design.

In questa intervista ripercorriamo i tratti salienti della sua lunga carriera fotografica, lunga quanto la sua vita e mai disgiunta da essa.

Ph. Gianni Rizzotti

@Gianni Rizzotti

Francesca Interlenghi: Vorrei cominciare dall’inizio e chiederti come nasce la tua fascinazione per la fotografia.

Gianni Rizzotti: Credo di essere nato fotografo perché già da piccolo, intendo dire a otto o nove anni, armato solo della mia curiosità, me ne andavo sempre in giro con la macchina fotografica. La prima me l’aveva regalata mio padre e io me ne ero appropriato, come fosse una sorta di giocattolo, ma era diventata subito una cosa molto mia, personale. A un certo punto è diventato il mezzo per comunicare con mia mamma dal sanatorio nel quale ero ricoverato a causa di una grave malattia. Per un anno non ho fatto altro che scattare foto e spedirle a lei: era un modo per parlarle, per raccontarle dove mi trovavo, farle sapere come stavo. E così a nove anni avevo già sviluppato un consistente racconto di me, il mio storytelling si direbbe adesso.

@Gianni Rizzotti

@Gianni Rizzotti, Shape in Action

Francesca: Quell’innamoramento ti accompagna però anche negli anni a venire, quelli dell’adolescenza. Un amore che si consolida nel tempo. 

Gianni: Vero, avevo sempre la fotografia in testa! Ovunque mi capitasse di andare o di stare e qualsiasi cosa facessi sentivo sempre il bisogno di raccontarla con le immagini. Per esempio dopo la mia guarigione, avrò avuto dodici o tredici anni, ero andato al concerto di Jimi Hendrix. Diversamente dai miei coetanei, che all’epoca ascoltavano quasi esclusivamente il cantautorato italiano, io ero attratto da un altro genere di musica ma di quell’episodio mi ricordo in special modo l’angoscia che mi aveva assalito nell’essere lì presente, testimone di quel momento così straordinario, e di non poter scattare nemmeno una foto perché non avevo una macchina fotografica.

@Gianni Rizzotti, Beyond Chef,  Mauro Uliassi

@Gianni Rizzotti, Beyond The Chef, Mauro Uliassi

Francesca: Quando hai cominciato a pensare alla possibilità di trasformare questa passione in un mestiere vero e proprio?

Gianni: Subito dopo le scuole medie, quando si è trattato di decidere l’indirizzo di studi, mi è venuto naturale iscrivermi a una scuola di fotografia. Era chiaro, almeno per me, che avrei fatto il fotografo nella vita. Ecco perché dico che sono nato fotografo! I primi anni di esperienza li ho vissuti  con un grande maestro, il fotografo svizzero-tedesco Serge Libiszewski, attivo nella moda ma molto noto e apprezzato specialmente per i suoi lavori di still life. Estremamente attento alla composizione fotografica, alla gestione della luce, a tutti quegli aspetti tecnici che per me, che ero un reporter che andava in giro con la sua Pentax appesa al collo, facevano parte di un mondo nuovo e sconosciuto. Un’esperienza molto formativa che ha allargato i miei orizzonti, acceso la mia curiosità e implementato la mia conoscenza con nozioni che la scuola non mia aveva dato.

@Gianni Rizzotti

@Gianni Rizzotti, Polaroid

Francesca: C’è qualche aneddoto che ricordi di quegli inizi?

Gianni: Una delle cose più strane che posso raccontare, e con il senno di poi anche divertenti, è che, appena sono entrato nel suo studio, Libiszewski mi ha chiesto di mostrargli le foto che avevo scattato durante il periodo degli studi e che ritenevo belle. Allora io mi sono presentato con delle stampe ben fatte in formato 30×40 che lui ha guardato e poi strappato. E buttandole tutte nel cestino mi ha detto: devi iniziare da capo.

Francesca: Gianpaolo Barbieri è stato un altro tuo grande maestro.

Gianni: Esatto. Dopo quel primo periodo di apprendistato ho trascorso con Gianpaolo Barbieri, un grande fotografo di moda riconosciuto in tutto il mondo, quattro anni davvero istruttivi. Ho imparato tantissimo, soprattutto la sensibilità, il modo diverso di vedere le cose e ho conosciuto le persone e la moda, imparando a capirla e apprezzarla.

Ph. Gianni Rizzotti

@Gianni Rizzotti

Francesca: Se il tuo primo approccio alla fotografia è stato caratterizzato dall’istintività tipica del reportage, in seguito la tua carriera ha preso una direzione apparentemente diversa. Per come la conosco, la fotografia di moda è saldamente legata al tema della costruzione dell’immagine intesa come veicolo di vendita. Come hanno convissuto dentro di te ragione e sentimento? Metodo e improvvisazione?

Gianni: E’ evidente una sorta di contrapposizione. Il fatto di aver sempre voluto raccontare storie di persone e di luoghi aveva fatto si che la mia testa si fosse formata con un’immagine fotografica che era quella tipica del reportage. Alla fine degli anni Sessanta la mia fotografia era il racconto di un adolescente che partecipandovi fissava in immagini i fatti dell’epoca. Il mondo della moda, che invece ho iniziato a frequentare di lì a poco, era completamente diverso. Dentro di me non c’è mai stata una vera scissione. Queste due anime si sono sempre ricomposte nello scatto, nella cristallizzazione del momento, diventando un tutt’uno, un unicum potrei dire. Padroneggiando la tecnica, mi sono sempre lasciato molto guidare dall’istinto anzi, il più delle volte l’istinto ha preso il sopravvento esaltando la mia visione e con essa la mia voglia di mettermi in gioco, di non subire passivamente le direttive del cliente. Dentro ogni lavoro ci deve essere la propria cifra personale e questa deve essere chiara, inequivocabile, anche quando i vincoli, dal punto di vista commerciale, sono stringenti.

@Gianni Rizzotti

@Gianni Rizzotti

Francesca: Con il brand Naracamicie hai instaurato una delle relazioni più longeve che l’industria della moda conosca, firmando tutte le loro campagne a partire dal 1989. Quali gli ingredienti del successo di questo rapporto?

Gianni: Un rapporto di lungo corso iniziato in maniera professionale e che poi con il tempo si è arricchito di complicità e amicizia. Credo che la chiave del successo di questo sodalizio sia stata nella volontà, da parte di entrambi, di mantenere lo sguardo fotografico sempre al passo con i tempi, proponendo e concertando scelte che permettessero a Naracamicie di essere riconosciuto come un marchio che viveva la contemporaneità degli anni e delle stagioni. Abbiamo raggiunto il traguardo record di trentun anni insieme… una cosa folle anche solo da immaginare nel così mutevole e volubile mondo della moda.

@Gianni Rizzotti, Different Visions, Naracamice

@Gianni Rizzotti, Different Visions, Naracamice

Francesca: Sei autore di diversi libri fotografici tra cui, proprio in riferimento a Naracamice, un bellissimo volume dal titolo Different Visions. Una raccolta di immagini poetiche e svincolate in qualche modo dai dettami del consumo che danno, del più tradizionale degli indumenti, nuove letture. Visioni Differenti appunto. 

Gianni: Per festeggiare il compimento del trentesimo anno di collaborazione con l’azienda ho prodotto una raccolta di immagini frutto di ricerca, pensiero e istinto. Per un anno ho viaggiato per il mondo con delle camicie appresso e ogni volta che l’istinto mi chiamava ecco che l’indumento trovava la sua collocazione naturale: la Cambogia o un allevamento di cavalli, la Sardegna o la Groenlandia. Ovunque fossi c’era sempre una camicia che posizionavo da qualche parte e che si trasformava in qualcosa di nuovo e inatteso. Il libro non vuole essere la narrazione didascalica di un prodotto ma vuole raccontare la nuova vita del prodotto: nuove forme che hanno origine a nuove visioni. E poi un modo per agganciare insieme, in maniera indissolubile, i miei due sguardi: quello del fotografo di reportage e quello del fotografo di moda.

@Gianni Rizzotti, Different Visions, Naracamine

@Gianni Rizzotti, Different Visions, Naracamice

Francesca: E’ indubbio che tecnologia e web abbiano avuto come conseguenza non solo quella di generare una produzione bulimica di immagini ma abbiano anche modificato il modo di percepire e fruire delle immagini stesse. Quali scenari futuri immagini per la fotografia?

Gianni: Stiamo sicuramente assistendo a un’involuzione del pensiero creativo perché alla fotografia viene sempre più richiesto di produrre immagini poco complesse e ricercate: foto immediate e facili da decifrare che soddisfino il bombardamento mediatico che è in atto. Io invece credo che la fotografia debba non solo raccontare il prodotto, le cose, ma anche il mondo dentro alle cose. Un mondo fatto di pathos e di fascino, di luce negli occhi e di sogni. La vita insomma, attraverso la fotografia. Ma non sono forse la stessa cosa?

@Gianni Rizzotti, Mario Cipollini

@Gianni Rizzotti, ritratto di Mario Cipollini
 

Cover story: @Gianni Rizzotti, Shape in Action 

Gianni Rizzotti, sito webFacebookInstagram

Domani 1 settembre 2020 alle ore 18.00 Gianni Rizzotti sarà in conversazione con Claudio Braccini per un’intervista in live streaming su Facebook  che potrete seguire qui: Foto e Parole del Barolo Fashion Show 

 

Comments are closed.